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Albinismo: capelli bianchi e ancora pregiudizi di Maria Giovanna Faiella
Pubblicato sul Corriere Della Sera.it il 28 luglio 2011
 

Scarsa informazione sugli effetti di quest’anomalia genetica.
Ipovisione sottovalutata da insegnanti e medici


MILANO - Vincenzo di Caltanissetta: «A 28 anni ho deciso di ritornare me stesso e non ho tinto più i capelli». Lucia di Verona, mamma di una ragazza albina: «Mia figlia ha disturbi della vista e non riesce a seguire le lezioni a scuola per 5 ore di seguito. Con mio marito ci siamo battuti per farle avere una lettrice esperta di disabilità sensoriale e poi il computer come ausilio agli esami di terza media». Federica, 32 anni: «All’Università leggevo la lavagna col monocolo e un docente ogni volta mi diceva: “Signorina, non siamo mica a teatro”. Ora vivo da sola e lavoro in un’unità spinale a Firenze».

CHIARI PER NATURA - Capelli biondi o quasi bianchi, pelle chiarissima, occhi rossi o bluastri spesso colpiti da deficit o disturbi visivi come strabismo, fotofobia, nistagmo (movimenti ritmici e involontari dei globi oculari). Sono i “segni” che distinguono gli albini (in Italia circa 3 mila) e che ancora oggi discriminano, soprattutto in alcune zone del mondo come in Africa, dove addirittura può essere perseguitato chi ha quest’anomalia genetica dovuta a un difetto nella biosintesi e nella distribuzione della melanina, pigmento che colora pelle ed iride.

BARRIERE CULTURALI - Nel nostro Paese, oltre ai pregiudizi che a volte ancora prevalgono, gli albini devono combattere non solo la burocrazia per accedere ad ausili che renderebbero la loro vita più autonoma, ma anche la scarsa informazione che ancora c’è su quest’anomalia ereditaria: l’ipovisione, in particolare, è spesso sottovalutata dagli insegnanti ma a volte anche dal personale sanitario. Ne hanno discussoa Roma, nei giorni scorsi, albini provenienti da tutta Italia nel corso del secondo Convegno nazionale dal titolo “L'albinismo: una diversità vivibile". «I limiti posti da quest’alterazione genetica possono essere gestiti e in parte superati», afferma uno dei promotori, Giancarlo Loddo, che ha realizzato il primo sito sull’albinismo .

RESILIENZA - «Innanzitutto occorre acquisire fin da piccoli la consapevolezza dell’essere albini e dei disagi che comporta – spiega la psicologa Laura Bonanni, anche lei albina - . Quando nasce un figlio albino, la famiglia rimane come smarrita e deve riorganizzarsi. Un bambino riesce a percepire di essere una “delusione” per i suoi genitori, per cui può sviluppare un senso di insicurezza che diventa esso stesso un limite, a volte più di quello genetico - continua Bonanni - . La famiglia deve quindi riorganizzarsi e saper trasmettere al figlio gli strumenti necessari per poter costruire una personalità resiliente, cioè in grado di reagire alle avversità che accompagnano il bambino di oggi e l’adulto di domani». Servono poi competenze e informazioni. A volte gli stessi albini non sanno, per esempio, di aver diritto all’esenzione dei farmaci, ad ausili come le lenti, al riconoscimento dell’invalidità. E sono pochissimi in Italia i centri di riferimento.

DAY HOSPITAL -«Al Niguarda di Milano per i pazienti albini è previsto un apposito “Percorso diagnostico multidisciplinare” in Day hospital, non è necessario quindi il ricovero», spiega la genetista Maria Cristina Patrosso, responsabile del laboratorio di analisi e patologia clinica. Dopo la visita presso l’oculistica pediatrica, i pazienti fanno la visita dermatologica che può comprendere un’eventuale mappatura dei nei. Viene poi eseguita la valutazione delle capacità uditive mediante le tecniche più opportune a seconda dell’età. Successivamente c’è la consulenza genetica e la firma del consenso informato al test molecolare. Vengono quindi analizzati i principali geni coinvolti in questa malattia.



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