Nella vita di ciascun essere umano esistono situazioni che possono, oggettivamente e soggettivamente, limitarne gli esiti e gli sviluppi, ma non è un dogma!
Esistono fatti oggettivi, come ad esempio carenze visive che limitano la possibilità di applicarsi a lungo nella lettura e nella scrittura, intese in modo ordinario, o che limitano nella scelta di alcuni tipi di sport.
La pigmentazione della pelle e dell'iride può limitare, nei tempi e nei modi, l'esposizione ai raggi solari.
Ma questi possono essere realmente considerati limiti oggettivi?
Con tutta la tecnologia all'avanguardia di cui oggi siamo provvisti, si può "rischiare" di oltrepassare un limite fisiologico, come i due sopracitati con, ad esempio: ausili visivi, biancheria protettiva, creme solari sofisticate, occhiali all'avanguardia (tanto per fare qualche esempio).
Tuttavia è vero, verissimo che avere un deficit visivo porta con se una diversità, rispetto a chi vede bene o in modo discreto: è oggettivo!
Esistono poi (e contemporaneamente) situazioni che possono rappresentare nella vita di ciascun essere umano, limiti soggettivi al vivere in modo fluido e gioioso.
Questa "soggettività" è data dal modo in cui ci approcciamo alla vita, agli altri, al presente, al futuro, alle difficoltà, alla genetica!
Esistono quindi due dimensioni, che diventano due livelli:
1) un "cosa" c'è e
2) un "come" lo si percepisce e gestisce.
Il "come" rappresenta la parte più complessa e sofisticata del saper vivere, perché chiama direttamente in causa le emozioni, i sentimenti, quindi le nostre paure, le nostre ansie, le nostre insicurezze, le nostre fragilità, le parti più delicate e sensibili con le quali avremo sempre da fare i conti.......fino alla fine dei nostri giorni terreni.
È il "come" si vivono le cose, le esperienze, le scelte, la propria soggettività, la propria genitorialità, che fa la differenza, la vera differenza!
Io sono stata una bambina albina negli anni '60. A quell'epoca non si sapeva nulla sull'albinismo, non esisteva internet, forum, siti, articoli divulgativi, specialistici......., nulla.
Mia madre, giovane, inesperta, lasciata sola con le sue ansie anche dagli oculisti più accreditati dell'epoca, che per me avevano preannunciato un futuro tragico e nefasto, si è improvvisata psicologa e sperimentatrice sul campo, spinta dall'amore di madre, dalla voglia di non mollare, ma soprattutto dal desiderio di farmi diventare una persona autonoma.
Per prima lei, contro tutti, ha dovuto accettare una diversità "sconosciuta" (in ospedale non vi fu diagnosi), passando attraverso tutti gli stadi del dolore, dell'impotenza, della rabbia, rimboccandosi le maniche soprattutto contro l'ignoranza che spesso fa più male della cattiveria.
Capace di cogliere suggerimenti di un anziano albino conosciuto per caso, mi osservava! Mi scrutava per capire come e quanto vedessi.
Un po' mi stava vicino senza sostituirsi a me, ma un po' si sostituiva e "mi prendeva la mano" senza aspettare che fissi io a chiedergliela.
Insomma i primi anni è andata un po' per tentativi ed errori.
Dai suoi racconti pare che io abbia iniziato a vedere nitidamente dopo un po' di mesi dalla nascita, ma ci sentivo benissimo e riconoscevo molto bene il suono della sua voce e......la seguivo con lo sguardo.
Come vedessi e cosa vedessi, non si sa.
Ma questa è storia.......
Tuttavia è stata "quella storia" che ha segnato la mia vita ed il come sono oggi.
La dolorosa ed adulta accettazione di mia madre nei confronti di una figlia "diversa" da stereotipi comuni, ha rappresentato la "base sicura" di quel mio lungo e sempre attuale cammino di accettazione del mio handicap, una accettazione che si rinnova giorno per giorno, periodo dopo periodo ed in certi momenti è un po' più dura che in altri.
La mia scelta professionale (per chi mi conosce sa che sono una psicoterapeuta) è passata proprio da quel "come" si vivono le cose della vita, i limiti, la diversità ed io oggi ne sono fortemente consapevole.
Ho lavorato molto su di me ed ancora oggi lo faccio perché il mio dialogo interno, a volte limitante, critico e negativo, va costantemente riveduto e corretto.
Questo dialogo interno non si vede, come invece si vede chiaramente il mio aspetto esteriore, ma in certi momenti è molto più limitante del limite visibile!
Imparare, imparare sempre con pazienza e perseveranza che ciascuno ha i suoi tempi e che vuoi ad avere un metro di misura perché è un'illusione, non esiste. Mai sfidare se stessi, ma fidarsi di ciò che si è.
Dobbiamo tornare tutti, a parer mio, ad una umanizzazione anche delle paure, delle ansie, normodotati e non.
A toccare il "come" viviamo dentro, i processi nascosti, perché solo così saremo adulti capaci di vere emozioni, genitori consapevoli di essere sufficientemente buoni. E solo dandoci il "permesso di sbagliare" che placheremo le nostre ansie di perfezionismo ed efficientismo, tornando passo, passo, ad una vera umanità che ci vede: limitati, ma capaci, impauriti per il futuro, ma anche arditi, desiderosi di essere Numeri Uno, ma consapevoli che ciò è molto spesso un'illusione!!
Io credo, perché ne ho fatto e ne faccio costantemente esperienza, nel valore profondo e nell'efficacia di una prevenzione primaria del disagio psichico, prevenzione che passa dall'autentico confronto con gli altri (magari portatori dei nostri stessi limiti e paure) e dal volersi accettare e riconoscere come persone sufficientemente buone, non "buone", perché altrimenti sarebbero disastri!
"Le fatiche della vita ci sono, sappiamo che possiamo dirle perché c'è qualcuno che è in grado di capire" (M. Novellino - Seminari Clinici 2014).
Onestà e coraggio sono a parer mio i due ingredienti fondamentali per vivere la vita come "avventura" e non "sventura".
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