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Albertino il pony albino

C'era una volta un piccolo pony bianco come la neve che viveva in una fattoria di collina.
Si chiamava Albertino. Aveva il pelo liscio e lucido e una bella criniera folta e morbida. I suoi occhi erano talmente chiari da lasciar trasparire sotto l'iride venature rossastre che gli conferivano un aspetto particolare. Per questo gli altri pony lo trattavano con una certa distanza e tendevano ad evitarlo.
Questi suoi occhi inoltre erano molto delicati: per lui un raggio di sole era come una freccia appuntita che gli feriva lo sguardo, e la vista era debole: Il mondo intorno a lui appariva sfocato e non vedeva le cose lontane.
Per questo motivo era costretto a vivere molto appartato, chiuso nella sua stalla dove gli scuri erano sempre accostati. Ciò lo rendeva ancor più distante dagli altri pony e, a volte, un po' triste.
Albertino però aveva un amico, un grande amico che si chiamava Lian ed era come un fratello per lui. Non lo lasciava mai solo e insieme giocavano e si divertivano nella grande stalla deserta e silenziosa.
Lian, da quando si era accorto che Albertino non vedeva bene, aveva preso l'abitudine di accompagnarlo tutti i giorni a scoprire la stalla in ogni suo angolo, e così lui, lì dentro, era diventato sempre più abile e disinvolto nei movimenti.
Anche Albertino, che aveva un fiuto e un udito eccezionalmente sviluppati, aveva insegnato a Lian molte cose. Lo aiutava a individuare tutti i rumori e gli odori della fattoria: ascoltavano insieme i passi strascicati sul ghiaino del vecchio fattore, il rombo del camion che arrivava per prelevare il latte dopo la mungitura delle mucche, distinguevano il profumo della biada mentre veniva scaricata dal carro e si divertivano a riconoscere dall'odore le persone che si avvicinavano alla stalla.
A volte erano usciti anche all'esterno, ma lì le cose erano più complicate.
Albertino sentiva forte il desiderio di uscire, di esplorare, di unirsi agli altri pony, però aveva paura e nel recinto comune se ne stava in disparte perché gli altri correvano forte e spesso lo urtavano. Alcuni, vedendolo così solitario, credevano che fosse superbo e altezzoso e non capivano che invece era solo timido e impaurito.
C'erano poi cinque pony un po' più grandi di lui che facevano i prepotenti: gli ronzavano sempre attorno fissandolo con insistenza per metterlo in imbarazzo e facevano anche delle battutine stupide sul suo pelo bianco, sui suoi occhi rossi, sul fatto che spesso stava con il collo storto e la testa china all'ingiù per sfuggire alla luce. Lian, dopo questi episodi, consolava Albertino e gli spiegava che quei cinque non capivano niente. Cominciava poi, per distrarlo, a raccontargli una serie infinita di barzellette che lo facevano ridere a crepapelle. Albertino per un po' tornava allegro e non pensava ai suoi problemi, però la sua voglia di uscire diventava sempre più rara.
Dentro la stalla invece i due amici facevano giochi speciali. Il più bello per Albertino era "moscacieca". A turno lui e Lian si bendavano e dovevano poi trovare l'amico che intanto scappava e si nascondeva. Era forte Albertino in questo gioco, e quando vinceva nitriva fortissimo e cominciava a galoppare pieno di gioia dentro la stalla. Sembrava un cavallo pazzo!Ciò avveniva molto spesso, perché Lian, abituato alla luce, quand'era bendato si muoveva in maniera goffa e lenta e raramente riusciva a catturare il compagno. Ma anche a Lian piaceva questo gioco: vedere Albertino così a proprio agio e felice gli dava una grande soddisfazione e si sentiva più vicino a lui, alla pari.
Una notte, mentre tutti dormivano tranquillamente, Albertino si svegliò di soprassalto, sentendo uno strano crepitio, poi, grazie al suo formidabile olfatto, percepì anche uno sgradevole odore di bruciato che proveniva dalla stalla dei cinque poni un po' bulli, quelli che spesso si divertivano a tormentarlo.
Svegliò subito Lian, avvisandolo del pericolo. Insieme raggiunsero la stalla dei cinque e videro che c'era un inizio di incendio. In fretta e furia aprirono col muso il cancelletto, poi Lian si precipitò dentro, nitrendo con tutto il fiato che aveva in gola per dare l'allarme. Quattro pony, imbizzarriti per la paura, scapparono fuori e anche Lian stava per uscire in fretta dietro di loro, quando si accorse che il quinto animale era steso per terra come morto. Il fumo, che nel suo box era molto concentrato, probabilmente lo aveva intossicato. Lian non sapeva cosa fare: quel corpo inerme era troppo pesante da spostare. Corse fuori, nitrì a squarciagola per richiamare Albertino che giunse al galoppo e insieme, con grande fatica, riuscirono col muso a spingere il pony svenuto all'aperto. Poi, esausti, caddero a terra anche loro, mentre tutti gli uomini della fattoria, accorsi grazie ai nitriti d'allarme, si prodigavano per spegnere l'incendio. Dopo un po', mentre tutti erano ancora indaffarati alle prese con il fuoco, il pony rinvenne. Allora Lian e Albertino, anche loro più in forma, lo accompagnarono, ancora mezzo addormentato e sotto shock, nella loro stalla. Lì continuarono ad assisterlo, finché non si risvegliò completamente.
Dopo un po' anche gli altri pony, esultanti per lo scampato pericolo, li raggiunsero e li chiamarono fuori nitrendo e scalpitando freneticamente.
Albertino uscì titubante insieme a Lian per vedere cosa succedeva.
Era pietrificato dalla paura a causa di tutto quel baccano.
I pony subito li circondarono. Sembrava un agguato. Poi cominciarono a correre fortissimo in cerchio intorno a loro, infine si sollevarono in piedi sulle zampe posteriori andando loro incontro come per attaccarli. Quando li raggiunsero fecero una specie di inchino e tornarono indietro restando in equilibrio sulle zampe posteriori.
Erano come imbizzarriti. Ripeterono questa serie di movimenti per quattro volte, mentre Albertino, che a causa del polverone che sollevavano aveva gli occhi più rossi e irritati del solito, cominciava a piangere e a tremare per lo spavento.
Finalmente posarono anche le zampe anteriori e si fermarono, restando immobili in cerchio, con il muso chinato verso terra e gli occhi bassi per molti minuti.
Poi, ad uno ad uno, si avvicinarono ad Albertino e con la lunga lingua ruvida gli leccarono il muso, asciugandogli le lacrime.
Albertino capì che quel frenetico andirivieni era stata solo una danza di ringraziamento e che adesso, leccando il suo muso, stavano chiedendogli scusa per averlo sempre evitato o deriso. Con gli inchini volevano anche mostrargli il loro rispetto: l'avevano sempre considerato debole e timoroso, invece avevano visto che sapeva essere forte e coraggioso.
Il suo odorato e il suo udito fuori dal comune inoltre erano stati provvidenziali. Se lui non avesse dato l'allarme sarebbero morti tutti.
Mentre si svolgeva la danza dei pony, gli uomini della fattoria e i vigili del fuoco avevano fatto di tutto per spegnere l'incendio, ma purtroppo il fuoco aveva completamente distrutto la stalla e ci sarebbero voluti mesi per ricostruirla.
Così Albertino e Lian proposero agli altri pony di vivere insieme nella loro stalla, a patto però che riuscissero ad andare d'amore e d'accordo.
Fecero tutti un nitrito d'intesa: avevano capito, finalmente, che Albertino era uguale a loro, e da allora si vollero sempre bene.
La vita nella grande stalla diventò così molto più allegra e varia. Tutti trattavano Albertino con affetto e con garbo, dimostrandogli grande rispetto; per questo lui non aveva più paura di nessuno e poteva sbizzarrirsi nei giochi più vivaci e sfrenati.
Diventò sempre più forte, coraggioso e sicuro di sé, cominciando anche ad avventurarsi fuori dalla stalla, prima insieme a qualche amico (Lian era rimasto il suo preferito), poi anche da solo.

Ora al posto della stalla distrutta hanno costruito un grande maneggio dove i bambini imparano a cavalcare.
Albertino è il pony più bravo di tutti.
Lo raccomandano ai genitori per i bimbi più piccoli, per quelli che si sentono tristi, soli e deboli o che hanno una grande paura... perché solo lui sa come farli sentire felici e come infondere loro il Coraggio.

Scritto dagli alunni della classe III A scuola primaria Don Milani di Forlinpopoli – FC rappresentati dall'insegnate Milena Raggi

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