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2018 - Albinismoe ipovisione: strategie per l'integrazione
5° Convegno Nazionale

Quale relazione tra vitamina D e albinismo?
Dr. Alessandro Marocchi

Primario Emerito dell’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, dove dal 2004 al 2011 ha diretto il Laboratorio di Analisi Chimico-cliniche Patologia Clinica. Laureato in Medicina e Chirurgia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano, ha conseguito la specializzazione presso l’Istituto di Microbiologia dell’Università degli Studi di Torino. Negli anni ha proseguito la formazione presso: "New York University Medical Center", "Cold Spring Harbour Laboratory" – New York e "Ludwig Institute for Cancer Research" – Bruxelles

ABSTRACT
Il termine "Vitamina D" comprende diverse forme attive, due delle quali importanti nell'uomo: la vitamina D2 da alimenti di origine vegetale, e la vitamina D3 da alimenti di origine animale (tra cui pesce, uova, latte con integrazione di questa vitamina, e olio di fegato di merluzzo) e per conversione di un derivato del colesterolo nella pelle esposta alla luce solare.
Le radiazioni UV che favoriscono la sintesi cutanea sono presenti nella luce solare solo per un numero limitato di ore, che variano in rapporto alla stagione ed alla latitudine.
I fattori che condizionano fortemente la sintesi vitaminica sono:

  • la pigmentazione cutanea: l’assorbimento dei raggi UVB dalla melanina provoca una riduzione fino al 99%;
  • l’età (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce il 30% in meno perché ha una riduzione del 7-deidrocolesterolo nella cute);
  • la superficie della cute esposta al sole, il tempo di irradiazione, nonché l’uso di cr eme protettive;
  • la latitudine: in Italia per esempio la produzione di vitamina D per esposizione solare è trascurabile nei mesi invernali.
  • alle latitudini temperate l’80% del fabbisogno di vitamina D è garantito dall’irradiazione solare ed il restante 20% dall’alimentazione.

Il ruolo principale della vitamina D è quello di facilitare l’assorbimento del calcio nell’intestino e di mantenere nel sangue, in sinergia con il Paratormone, i normali livelli di calcio e fosforo.
Rachitismo nel bambino e osteomalacia nell’adulto sono le classiche malattie da carenza di vitamina D. La definizione delle concentrazioni ottimali di vitamina D nel sangue non è tuttora completamente condivisa nella comunità scientifica: studi sulla relazione tra i livelli di vitamina e diversi parametri clinici (fratture, valori di densità minerale ossea, eventi cardio-vascolari, e altre condizioni morbose sembrerebbero indicare concentrazioni ottimali intorno a 30-45 ng/ml.
Le persone che possono essere ad alto rischio di carenza di vitamina D sono: anziani, obesi, persone con limitata esposizione al sole, bambini allattati esclusivamente al seno, persone con malattie che provocano malassorbimento intestinale, malattie epatiche o insufficienza renale.
Negli anni recenti numerosi studi hanno dimostrato una carenza di Vitamina D nella popolazione adulta: in Italia è stato osservato che l’86% delle donne sopra i 70 anni presenta livelli nel sangue di vitamina D inferiori ai 10 ng/ml alla fine dell’inverno. Ma la carenza è stata osservata anche in individui giovani e sani: nel 30% dei soggetti esaminati, se si usa come limite inferiore di normalità la concentrazione di 20 ng/ml. Anche nei giovani il problema peggiora nei mesi invernali.
Nella persona albina la rigorosa protezione solare suggerita per la prevenzione del cancro della pelle può metterla a rischio di deficit di vitamina D. D’altra parte, i pochi studi pubblicati sull’argomento che fotografano situazioni di vita reale indicano che la concentrazione di vitamina D nel soggetto albino non è significativamente diversa da quella dei familiari non albini.

A breve saranno diponibili i contenuti dell'intervento.

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